Sintomi
A volte si presenta in maniera subdola perché il dolore non rimanda immediatamente a un problema all’anca. Si può manifestare un fastidio inguinale, che simula una pubalgia, o un dolore laterale che potrebbe far pensare a una tendinite dei glutei. Il dolore irradiato, che scende lungo la coscia sino al ginocchio, provocato anche dalla cattiva postura assunta inconsapevolmente per proteggere l’articolazione. E’ un altro sintomo che può indurre a una diagnosi errata: sciatica, ovvero irritazione delle radici nervose dipendente dalla schiena, infiammazioni al ginocchio.
Il primo step, neppure il più semplice, è dunque quello di individuare il problema.
“Altri segnali successivi sono di lettura più semplice – spiega Piernicola Dimopoulos, specialista in Ortopedia e Traumatologia – se il paziente zoppica o ha una gamba più corta dell’altra, se inizia a perdere la muscolatura perché protegge l’articolazione che duole e non funziona bene o, in fase avanzata, se subentra la rigidità che limita il movimento, siamo evidentemente in presenza di artrosi dell’anca”.
La diagnosi identifica dunque la condizione di tipo cronico, contraddistinta dalla degenerazione progressiva della cartilagine costituente l’articolazione coxo-femorale, il punto in cui il femore si articola con l’acetabolo, la cavità del bacino destinata ad accogliere la testa del femore.
Cause
La malattia ha diverse cause e comporta, oltre al dolore, difficoltà nei movimenti con conseguenze sempre più invalidanti. Sino a qualche tempo fa, l’artrosi dell’anca veniva considerata una patologia tipica della terza età. In realtà il fenomeno della semplice usura, seppure importante, non è l’unico alla base dell’artrosi.
“Ci sono infatti delle forme precoci favorite da patologie in cui l’articolazione dell’anca funziona male dalla nascita o sviluppa un problema in età pediatrica”. Per meglio comprendere cosa accade in tali casi: “Immaginate – dice il dott. Dimopoulos – una sfera dentro una scodella: se c’è una patologia che deforma una o l’altra parte, si perde la congruenza, il meccanismo non funziona come dovrebbe; sfera e scodella “sfregano”, “sbattono” e si “bloccano”.
Se lo snodo lavora male dal punto di vista meccanico, la cartilagine che lo riveste soffre e si deteriora, sviluppando una patologia che prende il nome di artrosi dell’anca. L’altro meccanismo che può portare al danno dell’articolazione è favorito da una malattia di carattere infiammatorio:
“L’infiammazione infatti, a prescindere dall’eventuale presenza di malformazioni, intacca la cartilagine che si sfalda, liberando un pulviscolo di frammenti che a loro volta alimentano il processo infiammatorio avviando il circolo vizioso che porterà allo sviluppo di una vera artrosi cosiddetta “secondaria” perché il processo infiammatorio precede quello degenerativo”. Al giorno d’oggi, infine, gli incidenti stradali, gli infortuni sportivi e tutto quello che risulta riconducibile a un evento traumatico maggiore o microtraumatico ripetuto, può portare all’innescarsi dei meccanismi descritti e conseguente danno articolare. Indubbiamente, a parità di condizioni, esiste in ognuno di noi una differente vulnerabilità del tessuto osseo e cartilagineo geneticamente determinata che può rappresentare un fattore facilitante l’insorgere della patologia.
Cura
I trattamenti dipendono dal danno anatomico e dall’età del paziente. Nelle fasi precoci risulta fondamentale il rispetto di alcuni accorgimenti importanti, tra cui il mantenimento di un peso corporeo e di una muscolatura adeguati. Ugualmente utile è l’evitamento di attività sportive di grande impatto articolare come arti marziali, calcio, ginnastica artistica. In presenza della patologia conclamata, il trattamento si avvale di approcci multidisciplinari: farmaci, buone pratiche di vita quotidiana, fisioterapia, infiltrazioni. Nei casi in cui le terapie conservative non siano in grado di alleviare i disturbi e la vita quotidiana risulta compromessa occorre prendere in considerazione il trattamento chirurgico.
Chirurgia protesica dell’anca
Le cause di tale patologia sono spesso geneticamente determinate, o favorite ( forma idiopatica); ma il più delle volte l’origine del processo risiede in una qualche anomalia dello sviluppo o in un processo infiammatorio cronico, o traumi-microtraumi ripetuti ( forme secondarie ). Qualunque sia la causa, conosciuta o meno, l’evoluzione porta alla progressiva perdita del rivestimento cartilagineo del femore e della coppa acetabolare. Quando tale progressione genera un danno ormai irreversibile con dolore e limitazione funzionale, può diventare necessario il ricorso alla sostituzione protesica dell’anca malata. La protesi d’anca si compone quindi di una componente femorale e di una componente acetabolare, saldamente fissate rispettivamente al femore ed al bacino.
La protesizzazione dell’articolazione dell’anca consiste nel ricostituire lo scorrimento di una sfera levigata in una coppa, congruente con la precedente ed ugualmente levigata, la dove il processo artrosico ha usurato il rivestimento cartilagineo e frequentemente alterato la forma dei capi articolari.
L’articolarità tra le due componenti è data dallo scivolamento della sfera, montata sulla componente femorale, con la coppa, fissata al bacino. L’anca è un’articolazione profonda, ricoperta da uno spesso strato muscolare. Esistono varie “strade” per giungere all’articolazione. Quelle da me utilizzate sono la via Postero-laterale e la via Anteriore, entrambe realizzate con tecnica mini invasiva cioè con il massimo risparmio e rispetto dei tessuti molli ( muscoli, tendini, capsula articolare etc.) e dell’osso. La protesi d’anca può essere fissata all’osso con tecnica cementata o non cementata. La Letteratura Internazionale dimostra ormai che le protesi non cementate di ultima generazione sono in grado di dare risultati sovrapponibili alle protesi cementate, purchè correttamente impiantate.
Gli obiettivi di una Protesi Totale d’Anca correttamente impiantata secondo i criteri più attuali sono non più limitati alla sola stabilità articolare ed al ripristino di un buon movimento, ma prevedono la comprensione e la correzione dei meccanismi che hanno portato l’anca nativa ad un’usura precoce, unitamente al ripristino dei parametri morfometrici propri di quella singola articolazione. Ne deriva la necessità di una personalizzazione dell’impianto ricercando il migliore compromesso in termini di invasività, stabilità, ripristino della fisiologica biomeccanica articolare.
Così facendo sarà possibile donare al Nostro Paziente una qualità della vita decisamente soddisfacente, con il ritorno alla piena attività, benchè sia comunque sconsigliabile la pratica di sport di “impatto” al fine di una migliore longevità dell’impianto che può arrivare anche a 20-25 anni in un’alta percentuale dei casi. Sicuramente, quindi, nelle forme evolute, quando la prevenzione non trova più indicazione ed i consueti metodi conservativi hanno cessato di dare beneficio, il ricorso alla Chirurgia Protesica dell’articolazione rappresenta una valida opzione terapeutica.