Insieme all’Intelligenza Artificiale, la robotica è diventata una realtà, tanto entusiasmante quanto inarrestabile.
C’è stato un tempo in cui il tema della robotica evocava gli scenari fantascientifici dei libri di Isaac Asimov o di film come Blade Runner. Quel tempo è passato.
Uno dei settori che ha mostrato delle interessanti applicazioni della robotica è quello della chirurgia protesica, un ambito in cui l’impiego delle nuove tecnologie ha già condotto a risultati di particolare rilevanza.
Tuttavia, è essenziale che i professionisti del settore abbiano piena consapevolezza non solo delle potenzialità, ma anche dei grandi limiti (ancora) esistenti. Esaminiamo questo tema attraverso un’intervista dettagliata al dottor Piernicola Dimopoulos, chirurgo ortopedico, che ci offre una visione equilibrata tra punti di forza e punti di debolezza della chirurgia robotica e dell’IA nell’ambito della chirurgia protesica.
Quali sono le potenzialità della chirurgia robotica nell’ambito della chirurgia protesica?
“La chirurgia robotica, garantisce oggi la migliore performance tecnica del progetto chirurgico.
Questo non è poco, perché permette ai chirurghi di raggiungere un livello di precisione molto elevato.
La semplice vibrazione della lama che esegue le resezioni o la presenza sulle superfici ossee sulle quali si eseguono le “validazioni” del gesto chirurgico, di un minimo residuo di detriti, costituiscono una variabile rilevabile e misurabile, e questo ci fa capire la raffinatezza del livello di approssimazione raggiunto.
In altri termini, la precisione del progetto è superiore alle potenzialità dei mezzi che lo realizzano controllati in maniera tale da ridurre le variabili che possono influenzare negativamente l’intervento. Questo livello di precisione, migliorato grazie alla combinazione di calcoli computerizzati e competenze chirurgiche, ha consentito un notevole progresso nel campo della chirurgia.”
Quali sono i limiti della chirurgia robotica nell’ambito della chirurgia protesica?
“Nonostante i progressi, la chirurgia robotica presenta ancora ampi orizzonti di cui impadronirsi. Il punto principale è che la performance tecnica non contempla la complessità dell’intero corpo umano; la complessità che sta dietro l’azione meccanica di un segmento,
è condizionata a sua volta da fattori anatomici e si estrinseca attraverso un processo dinamico e quindi cinematico. Uso volutamente il termine “cinematico” perché è esso stesso il punto nodale a cui siamo giunti.” “In medicina, e specificamente in ortopedia
e chirurgia protesica, la cinematica si occupa dello studio del movimento delle articolazioni e dei segmenti corporei. Non basta quindi assicurarsi che la protesi sia posizionata correttamente, ma è auspicabile il garantire che funzioni armoniosamente con le altre articolazioni e segmenti corporei, per facilitare un movimento naturale e privo di dolore. Il ginocchio, per esempio, non è un’entità isolata: è parte di un arto, collegato a un piede, ad una caviglia, a un’anca, al bacino ed al rachide. E tutto il sistema interagisce con l’esterno attraverso dei rapporti vincolari con il suolo.
Se non consideriamo l’interazione tra questi elementi, rischiamo di ottenere una perfetta esecuzione tecnica che però non garantisce un benessere totale per il paziente. Non si può prescindere da questo e noi ne abbiamo già le prove. Potremmo dire, in sintesi, che la chirurgia robotica ancora oggi patisce un “vuoto cibernetico”.
Può approfondire il concetto di “vuoto cibernetico”?
“Esso riguarda la mancanza di una visione complessiva e interconnessa del corpo umano
nella chirurgia robotica. Norbert Wiener, padre della cibernetica, ha coniato questo termine per descrivere l’importanza di assimilazione, elaborazione e utilizzo delle informazioni. La chirurgia robotica eccelle nella performance tecnica, ma non possiede ancora la capacità di interpolare le informazioni relative ai diversi distretti corporei, che è essenziale per il benessere complessivo del paziente.”
In futuro l’intelligenza artificiale potrebbe colmare questo vuoto?
“Ci si sta lavorando, ed è probabile che in un prossimo futuro l’IA potrà darci delle risposte. Tuttavia, come ha sottolineato Yann Le Cunn, capo della Ricerca nell’IA
di Meta, a riguardo della minaccia rappresentata dalle “macchine Superintelligenti” si tratta di “Allarmi prematuri finchè non avremo progettato un sistema in grado di competere, in termini di capacità di apprendimento, anche solo con un gatto”. Questo sottolinea quanto siamo solo all’inizio del percorso e che l’IA oggi non sia ancora in grado di comprendere e gestire la complessità del corpo umano in modo olistico.”
Perché, allora, c’è una grande spinta verso l’utilizzo dell’IA? Vuole dire che si tratta forse di un’enorme “bufala”?
Qui non si parla di politica o di complotti, ma di questioni commerciali: le aziende cercano di recuperare gli investimenti fatti in ambito militare, indirizzando queste tecnologie verso il mercato civile. Da lì parte la grande spinta verso l’utilizzo dell’IA. Ma se torniamo in sala operatoria, a noi serve far star bene il paziente: i risultati sono stati ottenuti, i vantaggi sono indubbi, ma c’è ancora tanto da fare. Il vero salto di qualità non è ancora avvenuto e non avverrà finché -proprio in senso cibernetico- dietro il gesto chirurgico non ci sarà la capacità di elaborazione globale delle informazioni sovra e sotto segmentarie, ovvero quello che succede negli altri distretti corporei, proprio come il prof. Giacomo Pisani ci ha insegnato negli anni 70 e 80.
Lei ridimensiona la chirurgia robotica, ma siamo certi che la sua prospettiva “olistica” e di interconnessione rappresenti la soluzione vincente?
“Per risponderle, le farò ancora un esempio pratico. Ragazzina di 12 anni, piede cavo valgo, con
dolore rotuleo al ginocchio: le facciamo un’artrorisi endosenotarsica, (le applichiamo, quindi, una vitina conica in titanio nella caviglia tra astragalo e calcagno),
e le sparisce il dolore al ginocchio. Ciò che sto dicendo non è stregoneria, ma ha dei presupposti anatomici e fisiologici. Questa è una delle prove molto pratiche che si verificano con una certa ricorrenza, in cui andando a intervenire su un segmento si ripristina o si migliora il funzionamento di un segmento limitrofo, in questo caso della rotula nel suo scorrimento sul femore. Ancora: è frequente il riscontro di scomparsa di “mal di schiena “o di “raddrizzamento del ginocchio” in Pazienti operati di protesi dell’anca. Quindi, non ridimensiono il grande e positivo ruolo giocato dalla chirurgia robotica, ma bisogna entrare nella complessità della multifattorialità che c’è dietro un’articolazione protesizzata.”
Secondo lei, l’I.A., applicata alla Chirurgia Robotica, oggi, toglie o dà al chirurgo?
“Non c’è ombra di dubbio che dia, però c’è da chiarire un aspetto. La chirurgia robotica non è la scorciatoia per il chirurgo di bassa esperienza, ma è un grande aiuto per un chirurgo molto esperto che ha padronanza delle variabili ad essa correlate” In conclusione, la chirurgia robotica rappresenta un notevole passo avanti nella chirurgia protesica, con potenzialità straordinarie in termini di precisione tecnica. Tuttavia, la necessità di una visione complessiva del corpo umano, indica che c’è ancora molto lavoro da fare. La speranza è che, con il tempo, l’intelligenza artificiale possa aiutarci a dare queste risposte, offrendo soluzioni più integrate per il benessere dei pazienti.